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L’Altopiano delle Rocche, tra narcisi, formaggi e cime montane

A circa 1400 mt. slm, l’Altopiano delle Rocche si snoda tra i Comuni di Ovindoli, Rocca di Mezzo e Rocca di Cambio, passando per Rovere, Terranera e Fontavignone, tra pascoli in quota, imponenti faggete e fauna selvatica ( tra cui aquile reali e altri rapaci, cervi, caprioli, cinghiali e lupi) e con le importanti stazioni sciistiche di Campo Felice e Monte Magnola e le piste di fondo dei Piani di Pezza.

L’Altopiano fa parte del Parco Regionale del Velino – Sirente (con le due cime rispettivamente di 2487 e 2349 mt. slm) e si presta moltissimo agli amanti della vacanza attiva per passeggiate a piedi, in bicicletta, a cavallo e per quanti amano la neve e degli sport invernali. Attraverso comode strade da Rocca di Mezzo, Rovere e Ovindoli si può arrivare nella magica conca naturale dei Piani di Pezza per poi arrivare fino al Rifugio Sebastiani, ad oltre 2000 mt slm; oppure, da Ovindoli, si può raggiungere grazie ad una lunga e stretta valle i Prati di Santa Maria, coperta da boschi lungo i lati e con una strada circolare tra gli alberi.

Arrivando in auto da Celano, salendo lungo una strada stretta tra rocce e boschi, si arriva a Ovindoli (1375 mt. Slm) una delle più rinomate stazioni invernali dell’Appennino, dove è possibile visitare gli antichi borghi di San Potito, con i ruderi dell’antico castello, e Santa Iona, con la sua antica torre circolare. Proseguendo verso Rovere si può ammirare l’antico borgo fortificato con i resti dell’antico castello “Frangipane” ed il suo Museo, per poi arrivare a Rocca di Mezzo, capitale del Parco Regionale Velino-Sirente e  antico borgo montano che ebbe il suo momento di crescita turistica già alla fine degli anni ‘50 e ’60, con un bel centro storico collinare, dove sorge l’antica chiesa parrocchiale di “Santa Maria della Neve (XV sec)” con annesso Museo d’arte sacra. Proprio a Rocca di Mezzo si svolge, dal 1947, la tradizionale Festa del Narciso in cui tutta la popolazione partecipa alla raccolta dei fiori che ogni primavera imbiancano e profumano l’Altopiano delle Rocche. I narcisi vengono usati per addobbare i carri allegorici che vengono condotti in piazza per la tradizionale sfilata del Carnevale fuori stagione. L’infioratura dei carri si svolge nella notte del sabato precedente la festa e coinvolge anche i turisti. Il carro da premiare viene scelto dal numerosissimo pubblico presente alla manifestazione e proveniente da varie parti d’Italia e dall’estero.

Affascinanti, sempre a Rocca di Mezzo, la pineta di San Leucio, con la sua chiesetta tra gli alberi di pino, la Fontenascosta e la frazione di Terranera, dove è ancora possibile annusare i “profumi” degli allevamenti dei bovini e visitare le “pagliare”, costruzioni particolari usate durante la transumanza verticale.

Sul lato nord dell’Altopiano, infine, si trova Rocca di Cambio che, con i suoi 1433 mt. slm è il più alto Comune degli Appennini e con la stazione sciistica di Campo Felice sul proprio territorio. Da visitare, fuori dal paese, la bella Abbazia di Santa Lucia (XIII sec.), uno dei monumenti gotici-romani più importanti d’Italia, e, sulla sommità del paese, la Collegiata di San Pietro (XIII sec.) sede anche di set cinematografici.

La tradizione agricola e la pastorizia hanno influenzato notevolmente, nel corso dei secoli, la cultura gastronomica locale.

La lenticchia autoctona dell’Altopiano delle Rocche, piccola e saporita, sta vivendo un periodo di rilancio dopo anni di abbandono. Prelibati sono gli olaci (spinaci selvatici) che crescono spontaneamente tra erbe e pietre vicino agli stazzi e con i quali i pastori facevano il pancotto. Ottimi quando sono fatti fritti dopo essere stati lessati in acqua salata, strizzati e tritati, trasformati in polpette, inzuppati nell’uovo sbattuto e passati in farina. Una volta terminata la frittura, le polpette di oraci si condiscono con pepe e pecorino grattugiato e serviti caldi. Sempre utilizzando i prodotti della terra, tradizionale è la minestra di patate e cicerchia, così come la “cicoriella” (cicoria con brodo di gallina), le sagne con i fagioli, i surgjjj di Rovere (pasta a forma di topino con aglio, olio e peperoncino e, al posto del formaggio, una spolverata di noci tritate) e gli strengozzi, spesse pappardelle tagliate corte il cui impasto è a base di peperoncino e broccoletti e condite con funghi porcini e ragù bianco. Non mancano, naturalmente, paste fatte in casa a base di sughi di carne, dal castrato al manzo, all’agnello come le pappardelle al cinghiale o gli strozzapreti con tartufo, funghi, patate e pecorino.

Gli allevamenti locali di bovini, ovini e caprini hanno sempre fornito, insieme alla cacciagione, carni di grande qualità per la cucina e salumi. Da provare, oltre all’ottima carne salata, il salame di cervo, lo spezzatino di agnello con uova e limone, il cinghiale e gli arrosti e le carni alla brace di pecora, agnello e capretto, le carni di capriolo.

Anche la tradizione casearia ha lontane origini nell’Altopiano delle Rocche. Essa si è sviluppata, facendosi conoscere, “esportando” i propri prodotti a Roma ed in altre cittadine abruzzesi già negli anni ’50, grazie a produttori intraprendenti ed innovatori. Formaggi di pecora (pecorino) e di capra, ricotte, mozzarelle fiordilatte, scamorze affumicate e fresche, caciotte, caciocavalli sono il frutto di una cultura antica che, ancora oggi, propone prodotti di grande qualità, come il caciofiore, tipico prodotto della transumanza, simile al pecorino, a pasta morbida e cremosa, ottenuto con caglio vegetale ( fiori di cardo, essiccati dai pastori e messi in infusione per fungere da caglio).

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